Quel vuoto è pieno di ciò che contiene l’universo
Isabel Allende
Spesso ciò che la fotografia mostra è un inganno perché il soggetto non è necessariamente quello che appare ma quello che si nasconde fra le pieghe della realtà. Di fronte alle intriganti immagini di Benedetta Alfieri, per esempio, si sarebbe portati a credere di essere di fronte ad abiti vuoti che si librano nell’aria in una improbabile e spiazzante sfilata di gusto surrealista. Al contrario, queste fotografie sono dei veri e propri ritratti di persone che non vediamo ma possiamo facilmente immaginare perché l’apparenza si identifica talvolta con l’essenza e, al contrario di quanto erroneamente sostiene un detto popolare, quasi sempre l’abito fa il monaco. Non è un caso, infatti, se fra gli strumenti per datare una fotografia di cui non si possiedano informazioni c’è proprio l’analisi degli indumenti. La ricerca di Benedetta Alfieri, in realtà, possiede una fortissima forza evocatrice perché nel suo alternare pieno e vuoto, presenza e assenza o, in termini propriamente fotografici, ritratto e still life, coinvolge l’osservatore in un dialogo a distanza cui non si può sottrarre. Vengono così alla mente i pepli delle regine egiziane ancora mirabilmente plissettati che dalle teche di un museo trasmettono la grazia altera di chi li ha indossati, i costumi di scena esposti perché capaci ancora di raccontare spettacoli memorabili ma anche quegli armadi in cui da bambini si osservava, dal basso in alto, la meravigliosa eleganza degli abiti materni appesi uno accanto all’altro e intrisi di un profumo lieve e immediatamente riconoscibile. Anche queste fotografie, pur composte frontalmente su sfondi neutri, non sono asettiche, neutre, immobili: basta osservarle con attenzione per cogliere in una piega di quell’abito il segno di un corpo appena scivolato via, per immaginare che quel paio di scarpe conservi ancora non solo la traccia ma anche il calore di chi le ha tolte, per indovinare fruscii, sospiri, sussurri che fanno da delicata e appena percettibile colonna sonora. Perché, certo, la fotografia può ingannarci ma può anche aiutaci a scoprire, oltre quello che sembra il vuoto, l’inaspettata pienezza della vita.
Milano, giugno 2012
© Roberto Mutti