[La collezione di Fotografia Europea nasce con la prima edizione del 2006 e si è sviluppata nel corso delle edizioni successive sino ad oggi. Il direttore artistico della manifestazione che si è tenuta ogni anno, ha individuato un argomento su cui focalizzare le attività espositive, gli incontri e gli eventi. Sul tema principale si sono declinate diverse modalità di approccio e si sono costruiti e sviluppati i percorsi che, a loro volta, sono stati affidati a curatori italiani ed europei. Fotografia Europea si è caratterizzata inoltre per aver costantemente assegnato committenze pubbliche, per la maggior parte realizzate a Reggio Emilia, e incentivato progetti di ricerca proposti dai fotografi, le cui opere in seguito sono state acquisite per costituire e arricchire la collezione. Quasi duecento fotografi, provenienti da diversi paesi europei, hanno liberamente interpretato i temi che hanno caratterizzato le diverse manifestazioni. La collezione, ad oggi è costituita da più di 900 fotografie, è dunque un insieme significativo di opere legate ai temi del paesaggio urbano, della figura umana e dello sguardo, affrontati con una particolare attenzione alla ricerca e alla sperimentazione. La collezione di Fotografia Europea è conservata presso la Fototeca della Biblioteca Panizzi e la banca dati è consultabile tramite il sito della Biblioteca e di Fotografia Europea.
A fianco dei fotografi, hanno collaborato a questi eventi più di 50 curatori, circa una decina di istituzioni pubbliche e private, gallerie e saggisti della materia. La mostra della collezione di Fotografia Europea proposta nell’edizione del 2014 desidera individuare alcune relazioni tra i diversi sguardi, al fine di suggerire nuove letture, percorsi inediti attraverso le opere di alcuni dei numerosi autori presenti nella collezione.
Archivio, collezione, conservazione, catalogazione, sono alcuni dei termini che ad un primo impatto sembrano essere lontani dal mondo della fotografia e soprattutto dalla contemporaneità. Essi invece descrivono momenti di lavoro, di ricerca, dei materiali e quindi della forma che danno corpo all’opera dell’artista, in particolare del fotografo. In un recente dialogo con Franco Vaccari sul tema dell’importanza del soggetto nell’arte riguardo alla crisi delle ideologie, egli ha evidenziato l’importanza della tutela e della conservazione della fotografia come fonte non solo per la storia, ma anche della materia e quindi del linguaggio visivo. Per la contemporaneità il patrimonio fotografico storico, d’autore o di anonimo, è importantissimo perché apre nuove e inedite prospettive di ricerca. In alcuni casi, sosteneva Vaccari, addirittura straordinarie.
L’attenzione alla forma della collezione di fotografia, in particolare alle collezioni di “photo trouvéè” di Cindy Sherman e la collezione storica di Linda Fregni Nagler dal titolo The Hidden Mother costituita da più di un migliaio di fotografie commerciali e di fotografi dilettanti presentate a La Biennale di Venezia del 2013 dal titolo Il Palazzo Enciclopedico1, a cura di Massimiliano Gioni ne sono un illustre esempio. Anche la fotografia d’autore, come la riproposizione della mostra di Viaggio in Italia2 a cura di Luigi Ghirri, Enzo Velati e Gianni Leone esposta nella mostra Vice versa3 a cura di Bartolomeo Pietromarchi al Padiglione Italia sempre durante l’ultima edizione de La Biennale, sono stati un momento di riflessione e di dibattito importante sulla conservazione del contemporaneo, sul mostrare la forma della collezione quindi rendere visibile, nei modi originali, le opere fotografiche degli autori, in particolare nel caso di Viaggio in Italia.
Vi è un altro esempio assai recente e significativo relativo al concetto di collezione come forma aggregante di sguardi che sottolinea ulteriormente l’importanza di questa: la recente nascita della collezione di fotografie della fondazione del MAST4
a Bologna dedicata al tema dell’industria, all’impresa e al lavoro che in un ampio arco temporale dal Novecento ad oggi raccoglie e conserva opere originali che vanno da Man Ray a Berenice Abbott, da Robert Frank a Lewis Baltz. Periodicamente il MAST organizza mostre a tema partendo proprio dalla collezione al fine di far dialogare le collezioni con il pubblico, mostrare opere inedite, stimolare confronti e comunicare fra istituzioni.
Al di là quindi degli stili e della storia del fondo, la collezione diventa il momento per riflettere non solo sul recente passato, oppure sulla pura documentazione, ma anche sulla restituzione di un pensiero, di una progettualità, di una relazione di segni e significati. Anche in questa direzione di pensiero va l’omaggio di questa mostra Luigi Ghirri. L’intensa attività di ricerca e di lavoro di Luigi Ghirri ha attraversato diversi ambiti della cultura visiva italiana a lui contemporanea. Ne sono testimonianza non solamente la sua poetica, ma anche i suoi numerosi scritti, i cataloghi delle mostre e dei progetti da lui curati, le collaborazioni con fotografi, artisti, architetti e scrittori. Il superamento dei generi fotografici è stata una prima tappa del pensiero e dello sguardo di Ghirri pur partendo dall’indagine di una fotografia “impegnata” legata al formalismo da un lato e dall’altro alla fotografia amatoriale, che trovava ragione d’essere in filoni ben collaudati. Il percorso di Ghirri, nell’andare oltre i linguaggi consolidati della fotografia, parte da lontano: dalla collaborazione con gli artisti concettuali modenesi, dalla passione per il collezionismo di cartoline e fotografie anonime, per la letteratura, per la musica e per la storia dell’arte. Anche il suo archivio è stato da lui vissuto come lo spazio della memoria per eccellenza, dove ogni suo scatto trovava non solo un luogo, ma un preciso significato, in relazione agli altri scatti in precedenza realizzati. Non è il senso dell’accumulare, ma il desiderio di trovare, nel luogo dell’archivio, i diversi significati che le immagini acquisiscono dal loro confronto, o dalla semplice vicinanza. L’archivio diventa inoltre il laboratorio di idee, il luogo per pensare, progettare, sviluppare progetti, scrivere testi, realizzare i libri cataloghi.
Afferma Ghirri, in una delle sue lezioni di fotografia tenute all’Università del Progetto di Reggio Emilia che: “Il gioco delle contemporaneità, della modernità, si rivela molto più di più nel comprendere, all’interno di un certo tipo di espressione artistica, di una produzione letteraria o pittorica, le relazioni che consciamente o inconsciamente si attivano con le altre arti, con altri tipi di linguaggio… si tratta di instaurare un meccanismo di relazione perché le immagini, le fotografie, le canzoni, la letteratura, il cinema sono diventate costellazioni di significati”5. La mostra dedicata alla collezione di Fotografia Europea intende raccogliere l’eredità di Ghirri nell’individuare “meccanismi di relazione”, al fine di suggerire nuove letture, percorsi inediti attraverso le opere di alcuni dei numerosi autori che con le loro opere costituiscono la collezione di Fotografia Europea conservata presso la Fototeca della Biblioteca Panizzi.
L’excursus della collezione di Fotografia Europea che costituisce la mostra, è articolato in quattro sezioni dai titoli: lo Sguardo, gli Oggetti, il Paesaggio, e Del Guardare6 di Luigi Ghirri.
I tre momenti, quelli dello Sguardo, degli Oggetti e del Paesaggio sono alcuni dei punti cardini del pensiero di Ghirri e dei fotografi della sua generazione, che in mostra sono declinati dagli autori della collezione di Fotografia Europea in modi differenti. Nella sezione Del Guardare sono esposti vintage prints che hanno costituito la mostra omonima a cura di Paola Bergonzoni Ghirri e Ilaria Ghirri per la prima edizione della manifestazione, mostra incentrata sulla problematica che ha sempre accompagnato la poetica dell’autore: la qualità dello sguardo, la volontà di una “rifondazione del guardare”, la possibilità di riscoprire “un’ecologia dello sguardo” e la volontà di costruire un’opera aperta, che si prestasse a continue e nuove letture.]
Lo sguardo, il punto di vista, l’inquadratura sono aspetti legati alla percezione della realtà che ovviamente caratterizzano il solo pensiero di Ghirri, ma anche quello di Paolo Gioli, Cristina de Middel e Esko Mannikko. Ovviamente ognuno ha declinato il tema dello Sguardo secondo le proprie prospettive, a volte in modo esplicito, dichiarato del loro progetto, a volte implicito.
Le immagini, i volti, i corpi della mostra di Paolo Gioli nell’edizione di Fotografia Europea del 2008 sono una sintesi del suo lavoro di sperimentazione sul tema centrale della fotografia, di come possa generarsi un’immagine dalla luce e divenire impronta sulla carta. A dare corpo all’immagine è lo sguardo che unisce i vari elementi che compongono l’opera.
Cristina de Middel ha esposto nell’edizione del 2013 il progetto The Afronauts che ripercorre la storia del surreale tentativo fatto dallo Zambia di portare il primo astronauta africano sulla luna del 1964. Intrecciando realtà e finzione in un racconto eccentrico The Afronauts propone materiale d’archivio e messe in posa ironiche, dove lo sguardo del visitatore si confonde tra realtà e fantasia.
Il progetto di committenza di Esko Mannikko per l’edizione del 2013 ha avuto come tema il cambiamento nel paesaggio contemporaneo. Le relazioni tra città e campagna, paesaggio culturale e paesaggio naturale, passato e presente, interno e esterno dei luoghi, sono rappresentati cercando elementi sotterranei in base al concetto di “trasformazione silenziosa” del mondo e offrendo una visione inedita sul pensiero stesso di cambiamento.
[Nella sezione dedicata agli Oggetti, in realtà allo sguardo che posandosi sugli oggetti conferisce loro un senso, un significato, solo presentati i lavori di Jitka Hanzlovà, Martin Parr, Benedetta Alfieri, Jean Baudrillard e François Halard.]
Jitka Hanzlovà è invitata con un progetto di committenza nella prima edizione di Fotografia Europea del 2006. La sua ricerca dal titolo Migration è incentrata soprattutto sul ritratto ma in stretta relazione con il paesaggio circostante, con gli oggetti che appartengono alle persone ritratte, concentrandosi in particolare sugli immigrati e le conseguenti differenze culturali e religiose che oggi imprimono il loro segno sulla città.
Anche Martin Parr è presente nella prima edizione, con un progetto di committenza. La sua ricerca del titolo Reggio Emilia, 2006 segue il proprio stile, più volte collaudato, nel cogliere gli aspetti più evidenti della società legati a una sua visione della città ricca e benestante. L’autore si è focalizzato sui dettagli, in particolare sugli oggetti e sui gesti indagando gli spazi sociali e culturali. Avventurandosi nei caffè, nei ristoranti, nei negozi alimentari e nei mercati degli extracomunitari, Parr ha collezionato una ricca serie di sguardi che con ironia e distacco raccontano della vita quotidiana della città, realizzando una serie di immagini che complessivamente sono state presentate come una installazione che ricorda un collage. Durante il suo soggiorno a Reggio Emilia Parr disse: “Non sapevo, finché non sono arrivato a Reggio Emilia, che Ghirri è nato qui; conosco la sua opera e penso sia un ottimo fotografo che ha contribuito molto alla fotografia internazionale. Sono stato molto contento di scoprirlo e di trovare una relazione tra il suo lavoro, questo progetto e questa città”.
[Benedetta Alfieri, invitata all’edizione del 2008, espone la ricerca dal titolo Il passo negato, una serie di fotografie di scarpe che raccontano l’impronta del corpo fisico della persona che ne era proprietaria, vivente o no. Lo sguardo fotografico rivela dettagli e trame del corpo di ogni persona, attraverso i loro oggetti (le scarpe appunto) con precisione e senza pregiudizio, e richiede, a chi le guarda, la sua ricostruzione. Particolari e superfici, colori e forme, relazioni e rimandi fra un’immagine e l’altra dominano questo mondo figurativo che unisce in sé i modi di abitare gli arredi del corpo.]
Antonio Biasiucci (2009) con il suo lavoro dal titolo Ex voto racconta: “Se non avessi mai visitato la cappella dedicata a Giuseppe Moscati nella Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli, probabilmente non avrei mai deciso di fotografare gli ex voto; è quel luogo particolarissimo, quasi assurdo, in cui ai muri sono appese centinaia di piccole cornici, ognuno contenente una storia, ricostruita con le forcelline di argento che diventano per l’occasione sintesi ed essenza di ogni vicenda umana. Solo i “graziati” a offrire al santo la loro storia enigmatica, trasformando le formelline in componenti di una strana compagnia teatrale dedita a un teatro di vita essenziale. È in questo agire per sintesi che ognuno di noi trova se stesso e può spostarsi con il luogo. La mia mostra sugli “ex voto” diventa così una ricerca fortemente autobiografica, dove i simboli degli ex voto compongono le vicende di una vita trascorsa, ed il libro stesso un ex voto…” e dove parti del corpo, così rappresentato, diventati oggetti, oggetti della memoria.
Jean Baudrillard, presente nell’edizione del 2009, è uno dei grandi pensatori contemporanei che hanno concepito il concetto del rovesciamento che la critica ha denominato Postmodernità. A seguito dell’accresciuta importanza dell’immagine della società, Baudrillard sostiene che la realtà scompare dietro di essa. L’assenza della realtà, della fisicità del mondo che ci circonda svela un meccanismo legato alla visione di notevole importanza: non siamo più noi che guardiamo le cose, ma le cose che guardano noi. La realtà in cui viviamo è un mondo iperreale costituito da oggetti-segni, e noi che lo viviamo e lo percepiamo siamo solo delle comparse. La fotografia, come linguaggio e come sistema di costruzione delle immagini, è un perno determinante di tale scambio di parti tra la realtà e l’immagine. Jean Baudrillard afferma che: “Se una cosa vuole essere fotografata, è che non vuole consegnarci il suo senso, non vuole riflettersi. È che vuole essere colta direttamente, violata sul posto, illuminata del suo dettaglio. Se qualcosa vuole diventare immagine, non è per durare, è per meglio sparire”. Quale più dichiarato omaggio al pensiero di Ghirri che fin dagli anni Settanta ha lavorato sul linguaggio della fotografia e sul sistema degli oggetti?
L’omaggio di François Halard, dal titolo Gran Tour. La continuità d’un regard è un racconto fotografico, realizzato in Italia in diversi viaggi e in più anni, ed è una ricerca intima e personale restituita attraverso una serie di fotografie di interni e di oggetti. In un dialogo interrotto con la tradizione culturale che accompagnava il Gran Tour, Halard la interpreta come una narrazione per immagini di luoghi antichi e familiari e verso un senso collettivo della realtà. È un modo di relazionarsi con il mondo che trova espressione nella ricerca sull’abitare e nei momenti in cui il viaggiatore del Gran Tour visita le case e gli studi degli artisti Tra le diverse case visitate da Halard, vi è la Casa Malaparte a Capri, l’appartamento di Carlo Mollino a Torino, lo studio di Cy Twombly a Gaeta; Halard visita anche la casa studio di Luigi Ghirri a Roncocesi situata nella prima campagna di Reggio Emilia. Questa visita chiude simbolicamente e cronologicamente il Gran Tour di Halard che ha individuato, in questo luogo forse più di ogni altro, un elemento distintivo della fotografia italiana. La documentazione della casa di Luigi Ghirri è stata prodotta da Fotografia Europea 2011.
Il tema del Paesaggio stato affrontato da Luigi Ghirri seguendo le sue molteplici e diverse sfaccettature. Da un approccio minimale degli anni Settanta allegato ai luoghi della periferia, all’architettura anonima, l’autore elabora un’idea del paesaggio come luogo legato indissolibilmenta all’identità.
Nel testo della ricerca Paesaggio italiano del 1989 Ghirri scrive: “In fondo in ogni visitazione dei luoghi portiamo con noi questo carico di già vissuto e già visto, ma lo sforzo che quotidianamente siamo portati a compiere, e quello di ritrovare uno sguardo che cancella e dimentica l’abitudine; non tanto per rivedere con occhi diversi, quanto per la necessità di orientarsi di nuovo nello spazio e nel tempo”7. È un percorso, quello tracciato da Ghirri che muove dall’eredità letteraria di Cesare Zavattini, in particolare da Un paese con le fotografie di Paul Strand, dal cinema di De Sica, Rossellini, Fellini e Antonioni che hanno raccontato i mutamenti del paesaggio in relazione ai cambiamenti del vivere. Le stazioni di benzina lungo le strade di campagna, i cartelloni pubblicitari delle periferie delle città italiane, le case coloniche ristrutturate in “stile geometrile” per citare Gianni Celati, sono alcuni dei “paesaggi” che Ghirri ha voluto rivisitare lungo la via Emilia, nella sua regione perché anche questi paesaggi: “Chiedono di non essere confinati nella modernità, nei deserti, nelle terre desolate, ma aspettavo semplicemente che qualcuno li guardi, li riconosca per conferire loro una identità del nostro presente”8. Come è noto Luigi Ghirri realizzò diversi progetti di ricerca sul tema sul tema del paesaggio, invitando molti degli autori della sua generazione, cercando di coinvolgere anche autori più giovani. Da queste esperienze nacquero e si svilupparono differenti indirizzi di ricerca che declinarono il tema anche in direzioni opposte.
Fotografia Europea, nelle diverse edizioni, ha desiderato dare continuità a questa tradizione. Nella sezione dedicata al Paesaggio sono quindi presenti autori che sostanzialmente hanno affrontato l’argomento in direzioni differenti: uno sguardo estremamente soggettivo e narrativo come quello di Klawdij Sluban, nella mostra Berlin (2007) che fotografa per affrontare la committenza affermando che negli ultimi anni ha esplorato fotograficamente una Europa meno conosciuta, lontana dalla percezione degli europei occidentali come l’Europa dell’est dove l’autore cerca di coniugare la realtà con i sentimenti più intimi di un viaggiatore profondamente coinvolto.
Ferdinando Scianna con il progetto Ti guardo negli occhi, città (2007) affronta il tema della committenza partendo dal suo archivio, dalla sua esperienza di fotografo ripercorrendo le sue radici culturali del mondo contadino siciliano alle esperienze maturate durante i lunghi soggiorni a Milano e a Parigi giungendo al progetto della mostra che raccoglie 50 immagini che hanno fissato momenti indelebili della sua vita non solo professionale.
Pentti Sammallathi presenta Helsinki (2007). Helsinki è la sua città natale di residenza. Insieme all’amico e poeta Bo Carpelan che andava raccogliendo poesie sulla città, uniscono gli sguardi e le espressioni, parole e immagini e restituiscono uno sguardo sulla città, sui luoghi apparentemente poco espressivi in un mosaico di emozioni.
Bernard Plossu in European Cities-Movie 1970-2006 (2007) restituisce un caleidoscopico ritratto di alcune città europee dove il filo conduttore è il movimento: i riflessi, le onde, le persone che camminano, le ombre portate sui muri disegnano un paesaggio surreale.
Il lavoro di Vittore Fossati, Viaggio in un paesaggio terrestre con testo di Giorgio Messori (2007), riprende in modo esemplare il rapporto tra narrazione per immagini e testo scritto. Lo sguardo del fotografo si intreccia con quello dello scrittore e da questo sodalizio scaturisce un libro che richiama alla memoria un’altra importante esperienza, quella di Ghirri e Celati. Nella stessa sezione sono presentati autori che hanno seguito invece una direzione più descrittiva del paesaggio come Gabriele Basilico che realizza il progetto di committenza per Fotografia Europea del 2006 che intitola Fuori centro. Si tratta di una lettura rigorosa della cinta periferica della città che sfocia verso l’aperta campagna in un rapporto, come disse l’autore in un’intervista in quella occasione, con lo spazio e con l’architettura. “Come fotografo, inseguo dei percorsi, anche anonimi, in luoghi che apparentemente non hanno storia, oppure in cui la loro storia si è sovrapposta ad altre, perdendo quindi la loro identità. Questo fenomeno mi interessa molto, sia sul piano architettonico e ambientale, sia sociale perché riguarda l’identità. È una sorta di omaggio all’amico Luigi Ghirri”.
Valerie Jouve partecipa alla committenza del 2006 con il progetto dal titolo Corpi, interno fuori in cui il rapporto del corpo della città è da lei vissuto come molto vivo. È evidente il grande divario tra i corpi vivi e presenti, che vivono qui, e un’architettura che sembra negare questa presenza, un’architettura contemporanea senza anima, che si impone superficialmente, sul paesaggio. È inoltre una ricerca di documentazione di alcune delle architetture, degli edifici, che ancora custodiscono una forte testimonianza storica, una delle tante memorie della città, e che oggi si trovano svuotate della loro vita, delle loro funzioni, e quindi abbandonate e sostituite da architetture che non propongono una presenza significativa e di qualità.
Walter Niedermayr realizza Raumfolgen, anch’egli nel 2006. Fotografa la città dall’interno, identificando i luoghi pubblici come l’ospedale di Reggio Emilia: gli interni impongono una lettura socio-politica importante e indicativa di una collettività. Essi mostrano, o non mostrano, realtà che ci governano. Il compito che si è assunto l’autore quello di mostrarli e toglierli dall’anonimato.
Marco Zanta nel progetto dal titolo Residence Belvedere del 2006 guarda le abitazioni popolari della città sia dal punto di vista storico, che stilistico e architettonico. Zanta è, infatti, interessato al condizionamento che l’architettura ha sulle persone che la abitano al fine di restituire, attraverso una descrizione puntuale, il tessuto urbano e l’ambiente vissuto. La superficie delle abitazioni, caratterizzate da mattoni a faccia vista, da piastrelle anonime, dagli intonaci colorati, sono elementi identificativi di un modo di vivere un edificio e un luogo. Paola De Pietri presenta un progetto di ricerca del titolo Istanbul, New Stories, lavoro realizzato nel 2012 per la VII edizione del festival dove propone un’indagine sul rapporto uomo/spazio. L’oggetto della ricerca è l’attuale formazione della città e del paesaggio indagata negli aspetti più strettamente antropologici, sociologici attraverso il modo di vivere delle persone e soprattutto di concepire l’architettura e l’urbanistica. Le immagini della De Pietri sono, infatti, in grado di restituire la complessità della trasformazione urbana e sociale, in particolare della città di Istanbul a cavallo tra occidente ed estremo oriente, con differenti approcci: quello narrativo e quello politico.
Infine Giorgio Barrera realizza il progetto di ricerca del titolo Attraverso la finestra per l’edizione 2007 e lo fa lavorando nel quartiere popolare INA-casa di Rosta Nuova a Reggio Emilia. È lo sguardo, quello dell’autore, che penetra dall’esterno all’interno, indagando l’intimità degli spazi privati. Barriera utilizza la finestra come metafora della stessa visione, come cornice in cui si svolge il teatro del quotidiano. Barriera, con la complicità degli abitanti di quelle abitazioni, li ritrae in scene consuete muovendosi sull’incerto terreno fra realismo e finzione.
La mostra della collezione di Fotografia Europea dunque non è un confronto, un paragone e nemmeno un esercizio critico nel trovare elementi in comune tra gli autori scelti tra i tanti presenti in collezione, ma è un tentativo di raccogliere sguardi, anche distanti tra loro, sul sentimento collettivo tracciato del pensiero di Ghirri e colto da Fotografia Europea sin dalla prima edizione.
Reggio Emilia, maggio 2015
© Laura Gasparini