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appunti visivi sul paesaggio interiore
di Marcella Manni

in Marcella Manni (a cura di), Inside Outside, Galleria Metronom, Modena 2010

C’è un paesaggio interiore, una geografia dell’anima, ne cerchiamo elementi per tutta la vita. Chi è tanto fortunato da incontrarlo, scivola come l’acqua sopra un sasso, fino ai suoi fluidi contorni, ed è a casa

Josephine Hart, Il danno

Partire dalla descrizione del paesaggio al racconto di esistenze, passando per grandi o piccoli avvenimenti che scandiscono la nostra vita e costruiscono il vissuto emotivo, osservare come questo processo si svolge nel lavoro fotografico di alcune artiste contemporanee, il loro modo di guardare e ritrarre mondi interiori che si spalancano su paesaggi reali o fittizi. Il nostro sguardo non è in realtà in grado di fornire una indagine onnicomprensiva, spesso, per mettere in luce qualcosa, dobbiamo nascondere altro. Vedere è, per principio, vedere più di quanto si veda, accedere a un essere di latenza, scrive Merleau-Ponty, ed è proprio in questa latenza che si apre lo spazio del paesaggio interiore. Del paesaggio interiore parla Marshall McLuhan, che parte dalla premessa della concezione dello spazio visivo come qualcosa di strutturalmente costruito dall’uomo. Accettando questa premessa, non ci si può comunque sottrarre allo svelamento di un paesaggio interiore, di quello che viene definito inscape (interior landscape), una dimensione ricca e multidimensionale del paesaggio. Ogni artista coinvolta nella mostra, costruisce mappe emotive tracciate attraverso la raccolta di oggetti, l’appropriazione di luoghi o la messa in scena in cui si ritraggono protagoniste, costruendo e offrendo esempi di questa dimensione interiore.
Benedetta Alfieri presenta dei paesaggi che ci sovrastano o da sovrastare. Gli abiti, perfetti nelle loro pieghe e nelle sfumature cromatiche, mostrano un vuoto abissale, quello del corpo. Ritratti su sfondi monocromi, escono da un’imposta bidimensionalità per venirci incontro, per essere nuovamente abitati. La luce fredda, la dimensione in scala 1:1 aprono scenari solo accennati; sono presenze tangibili quelle che Alfieri suggerisce con le sue Sorelle, l’esser nascosto è proprio di ciò che viene alla luce scrive Eraclito, ed è questo il potere delle sue immagini, capaci di evocare e al tempo stesso sottintendere presenze immaginarie o reali.
Il tratto leggero di Elena Arzuffi ci porta in un mondo fatto a pezzi e ricostruito: i suoi collages sono la naturale evoluzione di una ricerca fotografica fatta di dettagli ironici e di presenze ricorrenti. I pensieri si perdono in questa mescolanza di segni, i messaggi si chiudono dentro una bottiglia di robinsoniana memoria, per essere affidati ad un ignoto interprete. Un coniglio, una presenza umana, abitano dei microcosmi che riescono a vivere nella compresenza di presente e passato, in un mondo fluttuante che è quello proprio dei paesaggi emotivi.
Rappresentano tangibili tracce di vissuto gli oggetti ritratti da Emanuela Ascari: il tempo è palpabile presenza nella serie Sotto la polvere, un tempo che è quello della memoria e degli affetti. Il piccolo formato, la dimensione da album di famiglia, ci restituisce immagini in cui luce e toni sono velati, fotografie costruite per lasciarci sbirciare in un mondo intimo e privato. Non c’è senso di decadenza o abbandono, i dettagli sono rappresentazioni a volte appena accennate di ricordi ed emozioni, quasi un inventario dell’anima.
I paesaggi reali, alberi e pianure innevate o gli specchi d’acqua di Barbara Bartolone ci riportano ad un dimensione canonica del tema. A ben guardare però Gli alberi che ti hanno visto correre sono trasfigurati in una dimensione narrativa, i dettagli naturali del paesaggio, boschi o campagne si animano, diventando i protagonisti di un racconto dal taglio introspettivo. La rigida composizione formale che si ritrova anche nelle Finestre è accompagnata da un uso rivelatore della luce, che crea ritratti malinconici di emozioni condivise.
Un corpo esibito, strumentale all’azione e alla narrazione è quello al centro del lavoro di Erica Battello; The Red String è in realtà un tentativo di uscire, esplicitandolo, da uno stato di sospensione e incertezza. La mescolanza di culture e razze (padre italiano, madre cinese, infanzia vissuta a Hong Kong) apre a una dimensione in cui l’interrogativo sulla propria identità si dipana come il filo rosso protagonista delle immagini. Tradizione, vincoli di genere non scritti e racconti generazionali si ritrovano nell’interpretazione dei ruoli passati, presenti e futuri di una vita e di esperienze ancora da vivere.
La diffusione degli studi sulla scienza cognitiva e sulla sua influenza nel pensiero filosofico può modificare il nostro modo di approcciare ed analizzare sentimenti ed emozioni. Gli esiti del lavoro delle artiste ci offrono esempi di una concezione della visione che non è puro processo di elaborazione di informazioni; liberato dall’intento di imitazione e riproduzione della realtà, l’inganno fotografico rivela nuovi scenari. Non c’è più l’abitudine antica di un tempo da dedicare alla contemplazione delle immagini, ma le riflessioni e le indagini visive di queste artiste possono suggerire un uso, una funzione dell’immagine come di un potenziale da attivare, in un percorso di ascesa dal materiale al mentale, da ciò che è meramente descritto e quindi circoscritto a ciò che è incircoscrittibile. Il nostro paesaggio interiore.

Modena, novembre 2010
© Marcella Manni