Accanto alla scienza di Newton e Galileo, perfettamente deterministica e interamente conoscibile, si giunge alla scienza moderna che osserva l’infinitamente piccolo, l’infinitamente lontano, l’in-visibile (ovvero ciò che è dentro il visibile) fino all’impossibilità. In altre parole, una scienza in cui l’osservazione modifica la realtà o in cui la realtà non è osservabile. Ecco allora che pianeti distanti, in altri sistemi solari, orbitanti altri soli, non si osservano direttamente ma tramite misure indirette. Per esempio, si misura la distorsione dei raggi luminosi provenienti da altre stelle, incurvati dalla gravità del sole e dai pianeti che vi orbitano attorno. Ed è sempre la gravità che ci parla di materia oscura. Una materia che non emette luce e che può essere identificata solo osservando gli effetti della gravità su oggetti visibili.
Apprezzando il valore della scienza e, seppur con un’iperbole, restituendola all’arte, penso che la premessa qui soprascritta sia congiungibile alle nozioni base dell’arte contemporanea, intrisa di concetti e concettualismi, spesso celati da apparenti logiche deduzioni. L’immagine di una casa è l’immagine di una casa. Punto. Eppure, ascoltando il motivo per cui l’immagine è stata realizzata, concedendosi il tempo per andare oltre il visibile, la “casa” muta, diventa altro. Soggettivamente, l’in-visibile corregge la nostra capacità d’osservazione modificando la realtà, implicando i propri sensi.
Visibile, invisibile di Benedetta Alfieri è la dimostrazione attiva di questo processo evolutivo, avente come fine lo stimolo di una coscienza critica, individuale.
I nostri sensi hanno imparato a leggere multiformi codici insiti nelle immagini con estrema abilità e di conseguenza ad accettare come consueto un linguaggio corrotto che di base non stimola una coscienza critica. Al contrario, ogni oggetto d’arte è definibile tale nel momento in cui consegna al referente un qualsiasi stimolo costruttivo. Fosse anche un semplice dubbio. Per lo meno, invita a fermarsi e pensare.
Milano, giugno 2012
© Maiter Ferrario