Disconnect and self destruction, one bullet at a time, What’s your rush now? Everyone will have his day to die
A perfect circle, The Outsider
[La realtà non esiste. Chi lo crede vive fuori dal tempo. Preso atto di tale situazione l’uomo non può che affrontare la contingenza in modo consequenziale. Se tutto ciò che appare davanti agli occhi dell’individuo è suscettibile di molteplici interpretazioni1 non ha alcun senso per gli esseri umani ritenersi gli unici depositari della verità2 del reale.
E’ infatti al concetto di autenticità che si è sempre legato il rimando alla realtà, anche nelle sue implicazioni di tipo artistico3. Ora la situazione è totalmente mutata. Del reale – o della sua supposta congruenza con un concetto molto stringente di verità della visione – non rimane che un tormentato ricordo. La parola simulacro deriva dal latino simulacrum e nell’antichità stava ad indicare la statua che raffigurava il potere del dio. Simulacro è dunque, in questa accezione, ciò che rappresenta la realtà e che, al contempo, differisce dalla realtà stessa4. Lo strumento fotografico rimane nell’accezione comune come il principale “documento di verità” e in un periodo storico sempre più armonizzato da una gran quantità di influssi mediatici e informatici nonché multimediali, la produzione dell’immagine deve necessariamente immergersi all’interno di una corrente precarie fluida, in un certo senso liquida e in continuo cambiamento.
Un gruppo selezionato d’autori è stato dunque invitato a cimentarsi con il mezzo fotografico e/o video per rappresentare un individuale senso/simulacro del reale.] C’è chi si lascia attraversare e suggestionare dalla memoria di un luogo in cui è passato come Bruno Cattani, che ripercorre con il suo sguardo attento e partecipativo il percorso degli spazi un tempo adibiti alla follia, come ospedali e manicomi, segnando con i suoi scatti e con un accompagnamento sonoro straziante il ricordo di una traccia e di un paesaggio umano che diventa rappresentazione di ciò che c’è stato e non è più, ma la presenza è ancora tangibile attraverso gli oggetti e le cose di appartenenza rimasti abbandonati.
Luoghi stranianti sono anche gli Urban Streetmarkets delle grandi città ricostruiti in scala con un lavoro site-specific da Josef Rainer, che da sempre lavora su una poetica legata al simulacro della rappresentazione urbanistica. Mercati di strada e attrazioni turistiche popolate da piccoli uomini in miniatura che mostrano un’architettura pronta a confrontarsi con quella reale della rete stradale di Londra e Vienna, costruita sui muri di scatole di cartone come una ragnatela ramificata e in continua espansione, mentre il video London Buildings proietta su uno schermo i quartieri londinesi.
Simulacro della realtà può essere anche la percezione di uno spazio che diventa esperienza di perdita. La giovane donna della video-installazione Pregnant silence di Armida Gandini precipita fluttuando in un continuo movimento lento e disagevole, da una superficie all’altra, inondata e travolta dall’acqua, in una dimensione sospesa di silenzio carica di presagi, che crea una barriera col mondo esterno e spaesamento. Lo spettatore nell’osservare passa da un’iniziale sensazione claustrofobica, provocata dall’idea dell’immersione, al vero e proprio disorientamento fisico.
Uno dei fenomeni che fin dalla tenera età fomentano copiosamente il nostro approccio al mondo, è dovuto all’educazione religiosa. Adalberto Abbate imbastisce una disamina di tale tipologia sul cattolicesimo. Catholicism Addiction Disorder è perciò un lavoro in corso su quelle derive dovute a questo credo, anche quelle più cruente e mostruose. Dietro a una presunta secolarizzazione della società toccate dal cattolicesimo si nasconderebbero difatti deviazioni tutt’altro che pacificatrici, anche per l’approccio alla contingenza dell’essere.
Per mezzo delle nuove tecnologie la dimensione fisica e spirituale dell’esistere dell’uomo muta continuamente. La ricerca presentata dagli AMAE si confronta con la Sacra Sindone. Questa reliquia rappresenta, a prescindere dalla fede, un lascito corporale che attraverso il web può diventare alla portata di tutti. My body is your body, costruito sulle tracce della Sindone unite a quelle di un organismo umano ricreato al computer, diventa una mappatura multimediale profondamente e strettamente virtuale ma splendidamente verosimile.
Eleonora Rossi ci accompagna attraverso la precarietà del vivere, dove il rapporto con il reale non può che essere profondamente problematico. Nella video-installazione Forward-rewind The Earth i ricordi dell’infanzia, l’educazione, la distanza temporale e spaziale sono solo alcuni dei tanti passaggi esistenziali che sedimentano un’indagine visiva in cui vi è una deflagrazione del consueto approccio al percepire. La capacità di straniare l’osservazione rappresenta una metafora della difficoltà del vivere pienamente ogni momento del nostro sussistere.
Il surrealismo comico e sociale di Paolo Consorti ci riporta invece a un classico dell’antichità, il Satyricon di Petronio, rivisitato in chiave contemporanea e senza riferimenti troppo puntuali.
Come su divertenti (ma solo all’apparenza) carri mascherati sfilano i protagonisti della odierna e surreale condizione sociale, religiosa e politica, come in un vero e proprio carnevale dell’assurdo, imbarazzante e incomprensibile loro malgrado.
Barbara Uccelli è rimasta impressionata dallo sfavillio delle luci della metropoli di Shanghai visibili dalla terrazza del Bar Rouge, che riproduce con una suggestiva installazione interattiva luminosa, simulando la mappatura dei vicoli e delle strade del quartiere Pu Shi, comprese le antiche zone rase al suolo per far posto ai grattacieli. Ad una data ora difatti, tutte le sere, tale spettacolo della città si chiude lasciando soltanto il ricordo perso nel buio. Cappuccetto Rosso, portatrice di luce, diviene una personificazione che attraversa il tempo e un’allegoria di un utilizzo dell’energia più consono alla vita. Solo in questo modo la realtà potrebbe essere letta in modo più cosciente e umano.
Ogni rappresentazione può essere foriera di aspetti oscuri alla sola presentazione visiva. E’ quello che succede con l’installazione La Repubblica di Marco Giovani. La rifrazione dei vetri e degli specchi crea nuove possibilità visive del trittico degli Aliens. Questa modalità espressiva non fa che certificare la scarsa delimitazione di ogni visione e rappresentazione, sempre in bilico tra una sua circoscrizione certa e un’insicura apertura verso quell’ulteriore che si scopre come baratro incerto della conoscenza sensibile. Oppure nel caso del “mostro” quotidiano e invisibile del video di Massimo Festi che cerca forse di difendersi da se stesso attraverso il mascheramento e uno strano gioco quasi d’amore e di corteggiamento con una ninnananna angosciante di sottofondo. Come a voler dire che ogni essere umano conosce la sua verità segreta ma non quella degli altri, e si inventa un copione stereotipato per adeguarsi ad un mondo basato sulla menzogna e su antieroiche strategie di sopravvivenza.
L’immagine fotografica ha il potere di evocare una mancanza oltre la pura rappresentazione. Loredana Longo amplifica tale sostrato di riferimento, caricandolo di ulteriori rimandi, in primis di tipo sentimentale. Souvenir#4 homme collection è un rimando a un passato che si riverbera come inquietante assenza anche per il presente, dove anche una deturpante eliminazione non fa che rimembrare quella mistura di amore e morte che attraversa la dimensione tragica del vivere.
Gian Luca Beccari opera in primo luogo sull’indicazione che può dare la parola simulacro.
L’autore crea da questa radice una sequenza d’interpretazioni di quello che può rappresentare qualcosa d’altro. Ecco quindi che, attraverso la mediazione del Fedone di Platone, vengono interpretate certe vicende terrene in chiave metafisica, un lascito dell’antichità che attraversa i secoli. Tale dottrina dell’universale, per mezzo dell’opera di Beccari, possiede nuove potenzialità per fare luce sul nostro tormentato presente.
L’Eurasia non è soltanto un concetto geografico. Tra i due continenti ci sono sicuramente dei contatti culturali molto profondi. Sovente questo si dimentica. Attraverso il progetto Persistence Claudio Gobbi intende rilanciare l’idea sulle eredità culturali insite tra Europa e Asia.
Dal Portogallo all’Armenia l’autore ha immortalato una serie di interni in cui questa concezione viene particolarmente rilevata. Tramite tali spazi si possono infatti evincere le sedimentazioni di confine aperte ad essere un ponte tra civiltà occidentale e orientale. Teatri, giardini giapponesi o chiese armene diventano quindi simbolo di appartenenza e di confine, luoghi di memoria e di persistenza identitaria che pongono un interrogativo sulle nostre numerose eredità culturali.
La leggerezza può portare un pensiero. Stefania Romano rivolge la propria indagine verso un mondo incantato che, almeno una volta, è stato immaginato. La realtà è sicuramente differente ma porta nel proprio alveo certe di queste fantasie. Ecco quindi che la lievità può lasciare una traccia più tangibile rispetto a qualsiasi complessa concezione. L’autrice propone il frammento di un sogno in cui il tragico e il grottesco sono parte attiva di quel teatro della vita che non smette mai di rilasciare influssi. Pezzi di corpi contenibili tra loro che formano un unico sistema correlando sensazioni di disagio e istinto.
L’imprevisto s’incontra nella quotidianità. Ogni vita, infatti, nella propria manifestazione più ordinaria, può scorgere nuovi viatici di comprensione di se stessa. Impreviste giungono le immagini, apparizioni, emozioni che modificano sostanzialmente la comprensione del passato, del presente e del futuro dell’essere. Elena Arzuffi attraverso il collage di piccoli dettagli preziosi ci restituisce quella figurazioni piene di pathos e poesia che hanno lasciato in lei un segno profondo. La quotidianità appare perciò come metafora positiva e sfuggente di cambiamento esistenziale.
Il martirio è una presenza incombente sull’umanità. Cambiano le modalità, rimane la sofferenza. Chi ti dovrebbe essere più caro può essere il tuo più grande carnefice. La bellezza fisica può divenire un impedimento che non permette di riconoscere facilmente tale patimento, sembra voler affermare Cosimo Terlizzi attraverso la messa in scena della sua cappella votiva. Rimane comunque il sentore dei misfatti perpetrati e subiti, la reliquia. Questo apre nell’essere martirizzato un grandissimo vuoto, difficile da colmare con la fiducia verso il prossimo e con il provare finalmente equilibrate emozioni. Il sacrifico allora appare inesauribile e senza requie.
Immagine come veicolo ed espressione di potenzialità espressiva ed emozionale. Apocalisse dell’essenza e dell’esistenza nell’esaltazione di uno stile o di una moda. Barbara La Ragione utilizza con raffinatezza i due estremi dei non-colori, il bianco e il nero, per fondere assieme i due concetti di istante già vissuto e ancora da vivere. I suoi personaggi mascherati si muovono come all’interno di un alveare dalla capacità collettiva sorprendente, in cui l’immagine stessa diviene una sorta di ape regina che governa e custodisce una memoria di soggetti amorfi che si animano in balìa delle alienanti e ambigue leggi dell’apparire. La realtà è sempre sovraccaricata di visioni, personali e collettive. Daniela Bozzetto prende atto dello scompiglio di siffatta manifestazione, incessantemente sospesa tra concretezza e fantasia. Tramite scatti ripresi con luce naturale, tolti dal loro background e introdotti in una zona di confine, l’autrice trasmette una percezione ambivalente che si moltiplica incessantemente. Queste manifestazioni che provocano fascinazione e disagio al tempo stesso, amplificano l’evanescenza di ogni volontà d’esemplificazione certa del percettibile. La coscienza di un limite incerto tra organico e inorganico, innocuo e decomposto, sovraccarica di ulteriori turbe qualsiasi orientamento di senso.
[Possono alcuni semplici vasetti diventare aperture inconsuete su un mondo sconosciuto e affascinante? Benedetta Alfieri connota gli oggetti scelti per la serie Due di una ulteriore complessità per cercare di farli rivivere a modo proprio in un mondo parallelo. La semplificazione iconografica della rappresentazione tradisce quindi una difficoltà semantica ulteriore e una sostanza profonda nel messaggio veicolato che apparentemente stridono con la banalità dell’oggetto comune fotografato. Con la perdita di ogni certezza anche il senso stesso delle cose più semplici viene a mutare in un continuo e perpetuo processo di modificazione.]
Tommaso Fiscaletti carca quello che si nasconde dietro la quotidianità comune di un sorriso o di uno sguardo. La sua lucida ricerca è nel captare la portata delle emozioni imperscrutabili che affiorano da un vissuto di coppia intromettendosi nell’intimità cosiddetta normale di una famiglia. Cogliendo quell’istante decisivo in cui qualcosa di sommerso affiora venendo alla luce e trovando una sua legittimità. La narrazione di tipo cinematografico contribuisce a creare vere e proprie short stories, come estratti da film, che fungono da momenti di segreta confessione da parte dei personaggi.
L’inquietudine di Daniela Perego si esprime nel giorno più felice per antonomasia che diviene in questo caso teatro di indifferenza. Nel video Wedding, girato a un reale pranzo di matrimonio, l’artista è protagonista assoluta della scena, stesa a terra e vestita soltanto con una sottoveste, immobile, anche se paradossalmente nella frenesia dell’andirivieni della festa e lo spostamento delle sedie nessuno degli invitati si accorge della sua inquietante presenza assolutamente fuori contesto, che rimane una sorta di incubo, di sogno senza lieto fine, di visione iperreale.
Il matrimonio non è sempre rose e fiori anche per Oriella Montin che nel suo Idillio nuziale racconta con sequenze alternate in bianco e nero e a colori la vita coniugale da un punto di vista emozionale, strettamente straniante e metaforico. L’enigma della rappresentazione si fonde alla solitudine degli elementi fotografati, che suggerisce una lettura autobiografica e un presupposto di latenza in fieri. Nella resa disturbante ma al contempo sottilmente ironica, accanto ai teneri sposini intenti al taglio della torta, due lamette si sostituiscono alle fedi nuziali e alcune cipolle alle fette di dolce, simboli di pena e sofferenza tra i sessi.
La meg åpne det lukkede rom,
la meg rite de skjulte runer,
la meg kaste mitt spyd,
midt i trollets kalde hjerte
Burzum, Valen
Reggio Emilia, aprile 2011
© Francesca Baboni e Stefano Taddei